La prima cosa che ho pensato quando te ne sei andata di casa è stata la spremuta. Me la preparavi ogni mattina da qualche mese, assecondando i miei periodici cambi di gusti a colazione.
Hai preso la bici e te ne sei andata, e io ho pensato “Adesso chi mi preparerà la spremuta al mattino?”. Poi ho pensato alla tua carezza fresca che mi aveva risparmiato il rumore della sveglia, ogni giorno per tutta la vita fino a lì.
Se dovessi parlare di te partirei dalle mani, le conosco a memoria, ne conosco la forma, la misura e il tocco. Sapevano di candeggina perché non usavi i guanti per pulire il bagno, di limone quando cercavi di mandare via l’odore del pesce dopo mangiato. Erano sempre fredde perché sei freddolosa, avevano i segni rossi delle scottature nel forno perché non stai mai attenta.
Mettevi lo smalto rosa perla sulle unghie, era l’unico colore che compravi e ne conservavi una boccetta piena nella casa al mare. Ne ho trovata una l’altro giorno in fondo all’armadietto. Ormai era secco, ma era il tuo.
Conosco a memoria la tua calligrafia perché scrivevi tutto: le ricette, i biglietti di auguri, i promemoria per me che “ho la testa tra le nuvole”, mi dicevi. Appunti di una vita intera. Non so se adesso lo fai ancora, ma scommetto di sì.
Le tue mani mi hanno insegnato ad allacciarmi le scarpe, a pettinarmi, a scrivere, a tirarmi su le calze, a mettere il mascara, a rompere le uova. Ma prima di tutto e più di tutto, mi hanno insegnato la quantità di amore che sta dentro una carezza.
