Ricordi
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Terra sovraesposta

Gialla di sole d’agosto che illumina i capelli delle donne.
Le increspature verdi delle viti sui versanti, le palette dei fichi d’india, i ventagli delle palme.

Le stanze tigrate di sole nella penombra dei pomeriggi e le sedie di plastica fuori dalle case. Teste grigie che gesticolano sottovoce, camici di cotone a fiori sotto il ginocchio e ciabatte.
Un pescatore baffuto rammenda le reti sotto un ombrellone Sammontana stinto, lo chiamano tutti per nome. “Michele, ciao”, gli dice un altro, infilandosi nell’ombra rotonda. È in canottiera, pellaccia tostata e riccioli bagnati di sale. Si parla di pesca, di nodi e di tempesta.
Entra una barca nel porto, Michele appoggia il coltello e raccoglie la cima.
Nella via principale c’è un carretto di legno che vende frutta e verdura al peso di un’antica bilancia di ferro. Giovanni viene solo al mattino e sempre con un’offerta diversa: ieri aveva i fichi, oggi le albicocche. Si prende quello che viene.
Il pane caldo ogni mattina, il vino bianco ogni sera, l’aria infuocata dei pomeriggi asciuga il bucato sui tetti mentre le urla dei bambini riempiono la piazza. Sono in sette e giocano a calcio scalzi, in costume, due barattoli per la porta e una palla arancione che non conosce strade.

Tutta la città sembra scolorita, come una fotografia lasciata al sole. La luce è bianca, le case gialle, i rilievi ocra. Una terra sovraesposta.
Poi a volte viene scirocco che spazza le vie, alza le gonne, annoda i capelli. Niente gli si oppone, l’unica opzione è la resa. Ti arrendi a rimanere in mutande, sospinto, spettinato e confuso.
E ogni volta che alzi la testa e guardi l’orizzonte, ogni volta ogni santissima volta vedi un triangolo, una striscia, una punta di blu che ti saluta da lontano.
Si prende quello che viene, viene sempre prima il mare.

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